“E se la vita ti offre peperoncini… porta a tavola il tuo vino migliore!”
Sì, erano limoni, lo so. Ma quando il gioco si fa duro…
Fino ad ora, avevo scelto di non scrivere di questo: da quasi un anno non si parla d’altro, pensavo fosse giusto spostare il focus. Non penso che se io non ne parlo allora le persone si dimenticano ma magari, anche solo per un attimo, hanno sorriso pensando a qualcosa di più piacevole.
In questi mesi molto è cambiato, intorno e dentro di noi. Molte aziende hanno fatto i conti con modelli organizzativi superati e con la necessità di nuovi stili di leadership. I lavoratori sono stati sbalzati in una dimensione parallela: dallo smart working totale dei più “fortunati”, ai turni in ufficio o in produzione per stare distanziati, ai lavoratori a contatto con il pubblico, bardati che nemmeno a Chernobyl (e avete, dal primo giorno, tutta la mia stima e riconoscenza).
E poi i ragazzi, veri eroi di quest’epoca: con questa didattica strana, gli allenamenti su Zoom, niente scorribande in bici e cospirazioni al parco, niente sguardi sghembi e corteggiamenti all’uscita da scuola. Penso spesso a loro. Penso come sarebbero stato per me, a sedici anni. Penso che non mi sarebbe piaciuto per niente.
Comunque, il punto è un altro. In questi giorni, dove tutti discutono su tutto, si discute (anche) sulla questione vaccino: vaccino sì, vaccino no, perché sì, perché no. Ho la mia idea, su questo, ma non è di questo che voglio parlare.
Il fatto è che l’evidenza che ci sta spiazzando, in questi giorni, è che nessun vaccino ci permetterà, ad un certo punto, di girare l’interruttore e dire “okay, tana libera tutti, è finita!”. E no, non funzionerà nemmeno urlare “Jumanji!”, mi sono documentata.
Per quanto alta possa essere l’efficacia, la verità sembra essere che per vari motivi ci aspetta (almeno) un altro anno di attenzione, di distanziamento, di stranezze. E poi, queste nuove abitudini che, nostro malgrado, abbiamo acquisito…saremo davvero in grado di abbandonarle? E, soprattutto, è questo che dovremmo fare? Cancellare tutto con un colpo di spugna?
Leggo di persone arrabbiate, avvilite. Si chiedono (ci chiedono): “chi ci restituirà questo tempo che abbiamo perso?”. Nessuno. Io penso che nessuno possa restituircelo, semplicemente perché nessuno ce lo ha rubato.
Ora, so che suona impopolare, tuttavia…
Io penso che stiamo sbagliando mira. A cosa ci porta essere arrabbiati con qualcosa o qualcuno che non sappiamo nemmeno bene cosa sia e che, in ogni caso, non é in grado di ridarci la nostra vita di prima? Non ho nulla contro la rabbia, anzi. Se arrabbiarmi mi permettesse di ottenere più di quello che ottengo rimanendo lucida, mi arrabbierei di più. Ma ho sperimentato che, almeno nel mio caso, non è così.
Provo a indovinare la domanda: “forse, tu non sei arrabbiata perché la tua vita di prima era una vera schifezza?”. Domanda legittima, in effetti. Però no, non è così. La mia vita di prima mi piaceva tantissimo e l’ho sempre detto: mi piaceva il mio lavoro, mi piacevano le aule piene di sorrisi e di energia, mi piaceva poter abbracciare le persone che amo e quelle che lo desideravano. Mi piaceva ridere con sconosciuti ad un bancone di un bar e mi piaceva stringere mani per comunicare alle persone “sono qui, ti vedo”. Mi piaceva viaggiare e mi piaceva poterlo decidere all’improvviso, seguendo un’emozione.
Mi manca tutto questo? Tantissimo. Vorrei che tutto quello che ci sta in mezzo non fosse mai successo? Certo. Ma non è così, è già successo. “It is what it is” e non lo posso cambiare. Però, rivoglio quelle emozioni, quell’energia che sono abituata a ricevere dalle persone, quell’energia che fa di me quella che sono. Quello che so, quell’energia è semplicemente ciò che io proietto su chi mi sta intorno e che le persone, ai corsi, durante le sessioni, nelle riunioni fra amici, al bancone di un bar, mi rimandano indietro. Amplificata. Quel che penso è che, nella situazione attuale, il mio “cannone dell’energia” debba essere ancora più potente e mirato per arrivare più distante, al di là delle mascherine, al di là di questi schermi. E se quello che funzionava prima non può funzionare allo stesso modo, adesso, sta a me trovare la maniera, sperimentare nuove strade per accorciare le distanze. Perché per me quelle emozioni sono imprescindibili e non le lascio andare via così.
Quello di cui sono certa, in questo preciso istante, è che il modo esiste e se esiste io lo trovo. E forse, se guardo bene, l’ho in parte già intuito. La vita va avanti: strana, magari un po’ storta e improbabile, diversa.
Puoi rimanere girato indietro a rimpiangere quella di prima e maledire l’universo, sprecando altra vita che non tornerà. Oppure, puoi decidere di vivere, adesso.